Su cosa sia il classico, parole assai sagge sono state spese in ogni tempo e in ogni luogo. E noi ci limitiamo a lasciarle risuonare in altri e più meritori lidi, consapevoli di come la loro eco giunga più melodiosa della nostra.
In questa sede, avendo da poco terminato la lettura della Fisiologia del gusto di Brillat-Savarin, ed essendo ormai prossima l’ora di cena, vorrei riproporre l’idea del classico come di una vivanda ricca e sostanziosa: pietanza profondamente radicata nella tradizione e tuttavia eterna; primitiva e atavica combinazioni di sapori che, per la sua giustezza, sembra dover esistere a prescindere dall’uomo.
Immaginate un brasato al Barolo, una lasagna fumante o ciò che più stuzzica il vostro palato. Per parte mia, io rievoco la suadente sinfonia di una scacciata catanese. Cibo denso, nutriente, dalla preparazione lunga e sfaccettata, che richiede ore di cura e attesa, ma che — se si è avveduti con le porzioni — può soddisfare anche quattro pasti consecutivi senza mai venire in uggia.
Letteratura nutriente significa letteratura classica. Perché ragionata e meditata, perché non solo solletica il gusto e l’olfatto, ma contribuisce a mantenere in salute l’organismo. Insomma, utile anche solo perché necessaria.
Non deve stupire che esista anche altra e ben diversa qualità: letteratura spazzatura, per paragonarla ai cibi che portano lo stesso nome; letteratura ipocalorica, piena di niente come un grave pompelmo; e infine la letteratura pratica, come le pastiglie futuristiche per gli astronauti.
Mi riferisco a quei tomi che si leggono come si sfoglia un rotocalco, pesanti nella forma ma sovente eterei nel contenuto. Oppure romanzetti che riceverebbero un trattamento troppo dignitoso anche se letti sotto un ombrellone o a bordo piscina. E infine alla sterminata progenie di manuali di autoaiuto, pronto intervento, alfuocoalfuoco!, e così via. La loro preparazione è fulminea, la digestione ancor più.
Tra le passioni che può coltivare un aspirante gastronomo assediato dalle tragedie della modernità, credo che l’opera di recupero di antiche ricette possa dirsi meritoria. Questo è l’intento di Rivista in Sospeso: rimpolpare il tavolato della nostra quotidianità con letture sostanziose e nutrienti.
Per il momento, non possiamo offrire che un piccolo aperitivo, nella forma di un racconto a cadenza settimanale o giù di lì. Qualcosa che possa almeno solleticare il palato e predisporre lo spirito al banchetto.
In futuro, mi piacerebbe poter offrire un menù completo a tre portate, con dessert, caffè e liquori. Sarebbe un giorno lieto, per la rivista e per il sottoscritto, quello in cui potremo rispolverare un classico del passato da riproporre ai lettori, in formato integrale e in una veste cartacea degna del suo nome.
Ma giacché l’appetito vien mangiando, per il momento potrete gustare il racconto classico della settimana. Siciliano come la mia amata scacciata catanese.
